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I generi televisivi - Intrattenimento

di Enzo Corsetti

Come suggerito dal nome, il macro-genere dell’Intrattenimento identifica quei programmi televisivi che hanno una finalità di divertimento o anche semplicemente di compagnia, di piacevole condivisione del tempo, a dichiarato beneficio del pubblico; tale definizione esprime anche l’effettiva evoluzione che il genere ha conosciuto dai primi decenni della TV, quando l’offerta di divertimento e di compagnia prendeva forma essenzialmente in spettacoli più o meno brillanti, ai tempi recenti che invece si caratterizzano per l’avvento dei contenuti improntati alla normalità del quotidiano.

IL VARIETÀ

Sotto la denominazione di “varietà” rientrano i programmi d’intrattenimento più classico, in buona parte derivato dalle formule nate per il teatro e precedenti all’avvento della TV. Il varietà televisivo propone attrazioni prevalentemente di spettacolo leggero, come performance musicali, sketch comici, giochi d’illusionismo ed altri tipi di esibizioni artistiche; il tutto è corredato da momenti di conduzione o di raccordo, che vanno dalla tradizionale presentazione, sul modello del celebre Festival di Sanremo, alle più moderne “ospitate”, con interviste a personaggi di fama popolare o di rilievo sociale, solitamente in tono brillante o comunque rassicurante, anche se non mancano formule dai contenuti più impegnati e in parte anche seri (come avviene in Che tempo che fa e Alle falde del Kilimangiaro).

DIVERTIMENTO E DISTRAZIONE DAI PROBLEMI

Coi suoi toni allegri e le esibizioni spettacolari, che determinano la prevalenza di formule improntate alla musica o alla comicità (come I migliori anni e Zelig, due programmi tra i più visti nelle recenti stagioni televisive), il varietà ha la funzione principale di far divertire il pubblico in maniera spensierata e strabiliante, distraendolo da preoccupazioni e noie della vita quotidiana: un’istanza che proviene dalla collettività in maniera pressoché regolare e talvolta eclatante, come testimoniato dalla grande attesa e riscontro che caratterizzano alcuni programmi incentrati su personaggi molto popolari (come Fiorello nel recente Il più grande spettacolo dopo il weekend).

LA FINTA INNOCENZA DELL’UMORISMO

Il pericolo principale di questi programmi sul piano educativo sta nell’implicita “licenza” che viene concessa alla cornice artistica, ossia quella di veicolare contenuti scorretti oppure densi di ambiguità, in una veste brillante che dà l’illusione di annullarne l’impatto: tipico è il caso di varietà con una missione pure d’inchiesta (come Striscia la notizia e Le iene), dove l’espediente retorico dell’ironia e quello scenico della parodia possono mascherare testi e immagini di stampo sessista, che servono a realizzare l’effetto della comicità. Da questo tipo di messaggi e d’immagini confezionate, i telespettatori raramente percepiscono di restare turbati e tantomeno influenzati, e ciò non dipende da caratteristiche socio-demografiche come l’età e il livello d’istruzione, che comunemente si ritiene favoriscano una fruizione attenta e consapevole; il pubblico che ama il genere televisivo del varietà è infatti molto diversificato, in base alle singole emittenti che tendono a confezionare testi e formule adatti al proprio specifico target, e curiosamente i contenuti più scorretti e sottovalutati nei loro effetti si riscontrano più spesso nei programmi seguiti da un pubblico giovane e provvisto di un’istruzione medio-alta.

IL TALK SHOW

Spettacolo del “parlato” per antonomasia, il talk show d’intrattenimento è una formula tra le più tipiche della TV moderna o cosiddetta “Neotelevisione”, perché inscena una situazione tra le più consuete della realtà quotidiana e comune a tutte le persone, ossia una conversazione tra individui, in uno studio che riproduce ambienti tipicamente a quel tipo di situazione, come un salotto. Escludendo qui le trasmissioni incentrate su temi seri ed eruditi come la politica e l’economia (in quanto appartenenti ad altri generi come l’Infotainment), il talk show d’intrattenimento affronta argomenti prevalentemente leggeri, o comunque aperti ad implicazioni rassicuranti, come l’amore e la moda, più l’attualità di diretta rilevanza per la gente comune; una dimensione, quest’ultima, che la TV sfrutta ponendo spesso in primo piano i suoi stessi eventi mediatici, quali temi di supposto interesse popolare e quindi da trattare.

ARGOMENTI COSTRUITI PER CARATTERIZZARE OGNI GIORNATA

I danni provocati da questi programmi iniziano per l’appunto dall’implicito “effetto agenda” sul pubblico, che trovandosi di fronte a una trattazione spesso convergente su pochi temi anche se scelti in base ai suoi presunti gusti e graduatorie di priorità, viene indotto a pensare che quelli siano gli argomenti importanti da esplorare ed esperienze desiderabili da vivere; non a caso, molti talk show d’intrattenimento hanno cadenza quotidiana, come Cominciamo bene e L’Italia sul 2, che impongono così il loro “tema del giorno”, da dibattere con pretesti, implicazioni e dettagli di rilevanza talvolta opinabile.

LA FALSA COMPETENZA DEGLI ESPERTI QUOTIDIANI

Un altro punto critico riguarda l’impianto dei ruoli, in quanto il talk show tende a porre il conduttore o i conduttori su un piano di sostanziale parità con il pubblico in studio, che rappresenta idealmente l’universo dei telespettatori, o meglio un insieme di telespettatori ben definito, secondo le caratteristiche socio-demografiche del target a cui il programma si rivolge; la messa in scena propone così una illusoria parificazione delle competenze, con l’implicita giustificazione che la vita quotidiana è un campo di esperienza comune a tutti. Si tratta ovviamente di una finzione, che il talk show ingigantisce proponendo nel ruolo di esperti anche personaggi creati dalla TV stessa, i cosiddetti “opinionisti” senza titolo come ad esempio Raffaello Tonon (lanciato dal Maurizio Costanzo show e poi dal reality La fattoria), o personaggi riciclati da altri campi del mondo artistico, come in tempi recenti Simona Izzo (attrice e regista di cinema, ma riproposta da molti salotti televisivi come esperta di sentimenti, matrimonio e maternità, in virtù del suo duraturo legame con marito e figlio anch’essi famosi in quanto suoi colleghi).

IL FITTIZIO DOMINIO DEL FEMMINILE

Non a caso, questi programmi si rivolgono a un pubblico d’istruzione modesta o tutt’al più media, nonché in gran maggioranza femminile (anche quando titoli e partecipanti simulano un equilibrio tra i due sessi, come in Uomini e donne), che attraggono puntando spesso su una conduttrice donna, chiaramente ritenuta più in grado di affrontare i temi con i loro stessi toni, linguaggi e ottiche; tale espediente aggiunge distorsioni e ambiguità anche nella più generale questione del ruolo delle donne in TV, perché maschera la tendenza ad utilizzarle in prevalenza per trasmissioni di scarsa serietà e di modesta importanza (come potremmo considerare Festa italiana di Caterina Balivo e Se... a casa di Paola con Perego, tanto per citare due programmi dei tempi recenti).

IL REALITY SHOW

Il nome stesso che chiama in causa esplicitamente la “realtà”, definisce la facciata che il genere del reality show assume nell’universo dell’Intrattenimento televisivo: un tipo di programmi che sfrutta situazioni reali, inglobandole e inquadrandole – concetto fondamentale, che non coincide con la mera ripresa ma nemmeno con la totale ricostruzione – in percorsi evolutivi o strutture narrative che le rendono spettacolari, solitamente intorno a un gioco che coinvolge un numero definito di partecipanti. Questi ultimi sono vip più o meno popolari oppure persone comuni (come accade rispettivamente in L’isola dei famosi e Grande fratello, i due programmi capostipiti del genere sulla TV italiana e tuttora presenti nei palinsesti), e vengono scelti dalla produzione con criteri finalizzati a imbastire dinamiche eclatanti da mostrare nel programma (prevedendo grossomodo l’esito dei confronti caratteriali, nelle situazioni in cui verranno coinvolti per disegno degli autori) e a creare personaggi di richiamo da sfruttare anche in seguito negli altri programmi d’intrattenimento sullo stesso canale o network.

STEREOTIPI ED ECCESSI PER UNO SPETTACOLO SICURO

Tale formula fa del reality show uno dei prodotti più “commerciali” della TV, con tendenza a selezionare personaggi stereotipati in modo da suscitare una rapida identificazione presso il suo pubblico: un pubblico composto solitamente da telespettatori giovani e anche adulti ma con un livello d’istruzione non elevato, che tollerano contenuti scorretti come il sessismo e il classismo, spesso incarnati dai personaggi scelti. La vocazione marcatamente commerciale induce la produzione a costruire situazioni stressanti, come gli ambienti spesso claustrofobici che fanno da perimetro al finto spaccato di realtà, per provocare reazioni eccessive e umilianti nei concorrenti, e a scavare negli aspetti più intimi della loro vita privata, con la complicità del pubblico che viene coinvolto anche direttamente grazie al sistema del televoto.

UNA VETRINA PER INDEBITE OPPORTUNITÀ DI CARRIERA

È dunque enorme l’ambiguità del “realismo”, se così si può dire, che caratterizza queste formule d’intrattenimento, capace di attingere alla vera vita delle persone per poi manipolarla in misura pesante, a completo beneficio della messa in scena. Quest’ultima ha inoltre l’effetto diseducativo di promuovere un genere televisivo in grado di regalare notorietà a chiunque in tempi brevi e senza alcuna preparazione, con le annesse opportunità d’ingaggi in grado di avviare gli ex-partecipanti a una carriera artistica, eventualità non rara nello star system italiano (nomi come Eleonora Daniele, Flavio Montrucchio, Laura Torrisi, Luca Argentero, più l’ormai defunto Pietro Taricone, sono tutti personaggi lanciati a grandi livelli dal solo Grande fratello in un decennio).

IL SOTTILE INGANNO DEI “DOCU”

Il discorso si differenzia solo in parte per i cosiddetti “docu-reality”, che talvolta rinunciano ai percorsi eliminatori mantenendo una veste liturgica con partecipanti a turno, e utilizzano ambientazioni non artificiali per aumentare la componente di realtà; il punto critico dei docu-reality è che giocano a mascherarsi da rubrica utile o addirittura educativa (come si potrebbe pensare di fronte a programmi come Sos tata, per non dire Ma come ti vesti?), mentre è invece opportuno ricordare che sono e restano prodotti d’intrattenimento, con una costruzione ben diversa dalle trasmissioni culturali ed educative vere e proprie.

IL TALENT SHOW

Nato dall’evoluzione di formule che combinavano stili del varietà e del reality, il talent show è ormai da considerarsi un genere ben definito nell’universo dell’Intrattenimento, almeno in virtù della sua missione dichiarata, quella di lanciare nuovi talenti nel campo artistico; il lancio avviene attraverso una gara, formalmente mirata a decretare uno o più vincitori ma di fatto costruita con modalità volte ad offrire anzitutto emozioni per i telespettatori.

Concorsi al limite della correttezza e sportività

La messa in scena di questi programmi infatti concede notevole spazio ai giurati, che hanno il compito non soltanto di decretare la sorte dei concorrenti attraverso punteggi o preferenze, ma anche di creare attesa e tensione con i contenuti delle loro valutazioni; dal piano tecnico e obiettivo si scivola facilmente su quello dei gusti personali e delle simpatie istintive, talvolta con la complicità del conduttore, così s’innescano accesi dibattiti e polemiche che trasformano il talent show in una recita diseducativa (com’è accaduto in alcune recenti edizioni di Amici di Maria De Filippi e X factor), perché i telespettatori adolescenti che prevalgono tra i fans di questo genere televisivo ricevono un pessimo esempio di sportività e di convivenza civile, proprio dalle figure che rappresentano gli adulti chiamati a istruirli.

I veri protagonisti sono i vip già affermati

Un altro punto critico del talent show riguarda la competenza dei giurati, che vengono scelti dalla produzione con criteri improntati piuttosto alla loro popolarità e personalità: lo scopo concomitante di questi programmi è dunque dare spettacolo con la presenza dei vip navigati, anche quando la loro interazione è priva di polemiche e anzi feconda di humour brillante (come avviene in Italia’s got talent).

La gara scade nel reality per esigenze di palinsesto

I concorrenti hanno più spazio laddove il programma punta su giurati non famosi (è il caso di Masterchef, trasmesso peraltro da Cielo che è un canale di rilievo secondario sulle piattaforme televisive), o quando le singole puntate hanno una durata molto estesa: un fenomeno, quest’ultimo, comune ad altri generi dell’Intrattenimento come il reality, e sollecitato da occorrenze non della messa in scena bensì dei palinsesti, perché consente alle emittenti di coprire più fasce orarie con un solo programma, risparmiando sui costi di produzione. E per riempire quell’ampio spazio di cui beneficiano i concorrenti, la produzione indulge a scandagliare le loro vite private e interazioni anche fuori scena, costruendo storie di amicizia e di amore che, al di là del loro reale fondamento, contribuiscono a lanciare i personaggi tramite l’empatia stabilita con il pubblico, similmente a come avviene nei reality (il caso più emblematico negli attuali palinsesti è Ballando con le stelle, dove le interazioni a sfondo sentimentale o intrigante sono favorite dal meccanismo che mette in gioco la coppia anziché il singolo concorrente).

Identità e carriere plasmate senza limiti di età

La naturale vocazione del genere a lanciare personaggi giovani ha innescato un ulteriore fenomeno diseducativo, quello dei programmi che propongono una competizione tra bambini con esibizioni e situazioni inadeguate alla loro età: diversamente dal classico Zecchino d’oro, gli odierni “baby-talent” come Io canto e Ti lascio una canzone fanno interpretare brani dai contenuti intriganti e problematici a bambini anche sotto i 10 anni, col pretesto che l’imitazione degli adulti è una velleità comune a molti bambini, come se non ci fosse differenza tra coltivare quelle velleità imitatorie in sede privata e costruire una messa in scena di grande impatto, che incoraggia i piccoli a comportarsi da adulti e dà l’illusione dell’assenza di barriere generazionali ed educative. L’adultizzazione dei bambini in quei programmi non si ferma alle esibizioni, ma continua nella costruzione dei personaggi, che vengono incoraggiati proprio nei loro atteggiamenti da adulti e inquadrati, con la complicità dei conduttori, in tipologie umane stereotipate (il donnaiolo, il gentleman, la diva, il clown e via dicendo) che rischiano di condizionarli pesantemente per la loro identità ancora in via di definizione, perché sedimentate dalla TV in un universo di popolazione molto più ampio dei normali gruppi sociali con cui ciascun individuo si trova a scambiare interazioni e categorizzazioni dal vivo a quell’età.

IL GAME SHOW

Tra i generi dell’Intrattenimento, il comparto del game show è forse il più univocamente delimitato, in quanto comprende tutti i giochi a premi pur in svariate formule, che peraltro non risparmiano ambiguità di missione ed effetti diseducativi. La possibilità per i telespettatori di guadagnare denaro, partecipando come concorrenti in studio o anche da casa tramite telefono e internet, tende infatti ad accreditare la TV come buona samaritana, occultando il fatto che questi sono tra i programmi a più basso costo di produzione, anche quando elargiscono somme molto alte.

Il primato del puro divertimento sulla bravura

L’evoluzione del genere ha inoltre abbassato drasticamente i livelli di competenza, cultura, e allenamento necessari per partecipare e per realizzare le vincite, in linea con i criteri base che caratterizzano la cosiddetta Neotelevisione, e cioè l’utilizzo della gente comune: una strategia al ribasso per catturare le più ampie schiere di telespettatori, col risultato di fare del game show un genere amato dal pubblico meno istruito e raramente giovane. Le formule dei giochi odierni assegnano spesso alla fortuna un ruolo notevole, se non addirittura pervasivo (come avviene in Affari tuoi, dove il rischio e il calcolo sono le qualità che consentono ai concorrenti di fare l’eventuale differenza, e i contenuti scadono spesso nel rituale scaramantico); questo tipo di programmi cancella così i valori del merito identificabile nell’impegno e nella preparazione culturale, che sopravvivono solo in parte all’interno di formule più costruite sul modello del classico “quiz” (come Chi vuol essere milionario), perché quasi tutti i meccanismi tendono ormai a basarsi sull’intuizione, agevolando le risposte con alternative confezionate o “aiuti” più o meno generosi (L’eredità è uno dei casi più emblematici in tal senso, pur basandosi su domande a contenuto culturale), il tutto nella finzione di voler evitare una disfatta ai concorrenti, situazione che le messe in scena caricano di toni drammatici, a beneficio dello spettacolo in sé.

Lo sfruttamento del privato e della marginalità sociale

Ed è sempre per massimizzare la drammaticità anche nell’eventualità di una vincita, che il game show odierno non esita a sfruttare la sfera privata dei concorrenti, spesso coinvolgendo anche parenti e amici o addirittura intere comunità cittadine, che si prestano ampiamente alla messa in scena televisiva in virtù della visibilità offerta; ogni elemento viene selezionato e inquadrato nella costruzione di storie edificanti, che mascherano l’incastro d’interessi e di complicità alla base di questi programmi.

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