Il desiderio di poter valutare l'ascolto (la quantità) e il gradimento (la qualità) dei programmi trasmessi ha dovuto trovare soluzioni alternative al problema dell'impossibilità di un riscontro diretto del consumo di televisione, come invece è possibile per il cinema, i libri e la stampa. La RAI, rispondendo alle responsabilità proprie di una televisione di Stato, ha sempre promosso ricerche e indagini facendosene carico direttamente. Fin dagli anni Sessanta ha cercato di misurare il gradimento del pubblico per i programmi mandati in onda, attraverso il questionario e l'intervista diretta. In quanto unica emittente sul mercato fino agli anni settanta, la Rai non ha avuto bisogno di calcolare quanti possibili consumatori potesse “vendere” agli inserzionisti pubblicitari. Dunque, in regime di monopolio, poteva essere interessante capire, provare a capire, se quello che veniva trasmesso piaceva, interessava, oppure no. Ad esempio, l'indice di gradimento doveva, nelle intenzioni di chi lo misurava, dare conto: della corrispondenza tra le offerte degli autori televisivi e le aspettative del pubblico; del rispetto per la sensibilità di chi guarda da casa; della risposta di individui e famiglie alla originalità, ai contenuti e allo stile proposti nel palinsesto.
All'avvento della grande televisione commerciale all'inizio degli anni ottanta, la RAI non riesce a reagire con lucidità e compie molti errori che saranno negli anni a venire causa della caduta progressiva della qualità, della credibilità, dell'autorevolezza dell'azienda. Tra questi riteniamo esserci anche la partecipazione diretta alla costituzione di Auditel, un organismo di rilevazione del consumo televisivo, predisposto a fornire e gestire solamente dati quantitativi.
Auditel è una società per azioni creata insieme ai network dell'emittenza privata e alle associazioni dei pubblicitari la cui attività prende il via nel 1986 a Milano. La televisione pubblica era allora ancora in grado, con il proprio peso commerciale e culturale, di orientare la scelta di quello che sarebbe stato lo strumento di calcolo degli ascolti in una direzione diversa. Gli enormi investimenti del mercato pubblicitario televisivo, che da quei numeri dipendono, potevano dunque essere orientati verso una politica della rilevazione dei dati che non considerasse gli spettatori solo passivamente. Invece, una volta creata Auditel, la scelta cadde sullo strumento meter, che registra i contatti che lo spettatore opera attraverso la selezione dei canali in riferimento al tempo di permanenza, trasmettendo gli impulsi per via telefonica. Ma vediamo più precisamente il funzionamento così come è descritto sul sito dell'Auditel.
Schematicamente, il meter è composto da 3 unità:
Prodotti da AGB, società incaricata della rilevazione, i meter sono di proprietà di Auditel. Le informazioni raccolte ogni giorno, tra le 2 e le 5 del mattino, sono elaborate dal computer centrale e diffuse alle 10 del mattino successivo.
Guardare qualcosa in TV significa automaticamente apprezzarlo? Cambiare canale, in certe fasce orarie, offre la possibilità di trovare qualcosa che risponda alle esigenze di tutto il pubblico? Per chi, come la RAI, aveva lunga esperienza nella ricerca degli indici di gradimento, avrebbe dovuto essere chiaro che alcune domande andavano poste insieme alla registrazione automatica della selezione del canale: ciò che avete visto, vi è piaciuto nel suo insieme? Cosa non vi è piaciuto? Che cosa sì? Perché? Cosa cambiereste? Queste poche domande avrebbero probabilmente cambiato il futuro della televisione e di conseguenza quello degli spettatori.
Il sistema di rilevazione scelto da Auditel, e basato ad oggi su circa 5000 famiglie campione, non era l'unico possibile; anzi, era poco adatto per stabilire la soddisfazione del pubblico e le modalità di fruizione. Auditel ha come obiettivo la mappatura degli ipotetici consumatori in base alla loro suddivisione e frequenza di ascolto; non a tratteggiare il profilo del pubblico per potergli fornire un'offerta adeguata. Tralasciamo qui i molti dubbi mossi da più parti all'Auditel circa l'efficacia della raccolta e gestione dei dati. Di quei dati che diventano poi l'elemento decisivo per le pianificazioni dei pubblicitari e per la stesura dei palinsesti da parte delle reti. Ma una rilevazione di tipo solo quantitativo ha un problema di fondo: la semplice accensione del televisore si tramuta sui tabulati delle rilevazioni in un gradimento implicito. Sappiamo tutti come sovente si usufruisce della TV nelle nostre case: viene utilizzata come sottofondo o accompagnamento al quale non viene prestata che un'attenzione saltuaria e distratta. La scelta di un programma si effettua a volte in base al “meno peggio”: e si può indicare come apprezzamento la “resa” di chi guarda la TV di fronte ad una proposta che può anche essere globalmente di bassa qualità? Il metodo dell'Auditel serve solo a stabilizzare il mercato della pubblicità con dati costanti e privi di possibile contraddizione. Infine, è giusto che a gestire un organismo così importante siano gli stessi enti che ne traggono beneficio, le parti in causa insomma, cioè RAI, Mediaset, pubblicitari? Non dovrebbe forse essere un'organizzazione autonoma? Se a questo si aggiunge che il mercato televisivo italiano si è rapidamente strutturato, dai primi anni novanta, in un duopolio dove fare concorrenza è molto difficile, si capisce a quali rischi siano esposti gli utenti/telespettatori/cittadini nel loro diritto di avere una TV di qualità.
Ci poteva e ci doveva essere un altro modo di gestire l'enorme mercato degli spot e delle televendite. La RAI era in grado di articolare e differenziare la sua proposta in base ai feedback del pubblico, al fine di ascoltare gli spettatori e non solo di misurarne l'ascolto. Capacità che veniva poi dalla consuetudine a decenni di programmazione ad alto livello. Insomma poteva, per la sua tradizione e per i mezzi e il personale di cui disponeva, offrire e mantenere una qualità elevata. Cosa che sarebbe stata più difficile per la televisione commerciale nonostante le notevoli risorse economiche e organizzative che poteva mettere in campo: difficile e innaturale perché la filosofia alla base della sua stessa nascita è quella del guadagno attraverso lo sfruttamento massiccio della pubblicità, a prescindere dai contenuti offerti.
Non era dunque interesse della televisione pubblica, e perciò di tutti noi, un sistema di rilevazione dell'ascolto basato solo su dati quantitativi. Era anzi interesse della televisione commerciale, che era però una concorrente della RAI. Le due esigenze andavano mediate e invece passò il modello di una televisione puramente finalizzata al profitto, senza lungimiranza alcuna circa le possibili implicazioni di una tale scelta, oggi sotto gli occhi di tutti. La televisione pubblica iniziò così la metamorfosi che l'avrebbe resa una copia di quella privata.